“La bella stagione” diventa film, M. Ponti: “Una banda di fratelli, uomini speciali. Autori di una storia irripetibile”.
“La bella stagione” la storia raccontata in un libro di successo è diventata un docufilm, Marco Ponti, che lo ha diretto, ha rilasciato un’intervista al Secolo XIX. Ecco le sue parole.
«Vialli, Mancini e gli altri non sono rimasti legati tutta la vita perché hanno vinto lo scudetto. Il tricolore non è la causa della loro amicizia indissolubile ma è la naturale conseguenza».
Un feeling unico, un’ascesa sfociata nel culmine del 1990/91, «Abbiamo terminato le riprese. È una di quelle esperienze che ti cambiano, per me ha assunto la dimensione di un progetto del cuore», spiega il regista torinese che 20 anni fa vinse il David di Donatello all’esordio con “Santa Maradona”.
Come è nata l’idea del docufilm?«Sarà un adattamento in chiave non fiction del libro Mondadori firmato da Vialli, Mancini e gli altri blucerchiati dello scudetto. Il progetto nasce dall’agenzia “Book on a tree” e da Pierdomenico Baccalario che hanno curato l’edizione del libro. “La bella stagione” ha destato molto interesse, Groenlandia, che produce il docufilm con Rai Cinema, mi ha proposto la regia: ho accettato perché il libro mi è piaciuto molto e per i miei emozionanti ricordi dell’epoca».
A che punto siamo? «Finite le riprese ora la palla è a noi. La sfida è trasporre nel film la magia dei racconti ascoltati. Ci vorrebbero 10 film, dovremo farcela in uno solo. Montaggio e post-produzione dureranno tutta l’estate, la data d’uscita è da definire. Abbiamo girato un po’ a Torino, Milano, Roma e soprattutto Genova: ci siamo stati un mese, da torinese la conoscevo già ma mi ha affascinato, sono diventato anche un appassionato della colazione con focaccia e caffellatte».
Come si sono comportati gli eroi della Sampd’oro? «Sono i protagonisti, con le loro testimonianze. Non li conoscevo di persona, mi hanno stupito in positivo. Lanna e gli altri ci hanno dato un aiuto inestimabile. Mancano Mikhailichenko perché sta a Kiev in questo momento drammatico e Katanec, anche lui lontano, all’estero. Cerezo è venuto dal Brasile per noi, straordinario, ha una simpatia pazzesca, come Ivano Bonetti. Vierchowod è un fenomeno, Lombardo idem. Ho sempre fatto finzione, la cosa più bella è aver incontrato personaggi migliori di quelli che avrei potuto inventare. Vialli è speciale, ha la supervisione artistica del progetto, ci sentiamo spesso. Mancini è molto disponibile, mi sono legato a Pari e Invernizzi».
E nel film non date spazio solo ai calciatori. «La figlia di di Boskov e Francesca Mantovani ci hanno dato una grande mano. Abbiamo incontrato i tifosi, i magazzinieri storici come Bosotin e Rossi. Siamo andati nei ristoranti che frequentavano i blucerchiati, abbiamo la ricetta della cotoletta che piaceva a Mancini. Abbiamo ripercorso le loro cene, da quelle dei 7 nani alle altre decisive per il destino della Samp. Abbiamo avuto la fortuna di accedere non solo a gesta sportive ma all’universo umano che c’era dietro».
Che idea si è fatto? «È raro vedere una banda di fratelli così. Si volevano bene, si fidavano ciecamente uno dell’altro, sono stati capaci di costruire una cosa irripetibile non solo per la Samp. Campioni immersi nella realtà, che si impegnavano nel sociale, ispirati da Mantovani. Poter chiedere a Pagliuca cosa pensava mentre parava il rigore a Matthaus o a Vialli di quando si è spogliato nell’esultanza-scudetto ci ha regalato momenti da pelle d’oca».
Il più emozionante? «Quando Luca ci ha raccontato cosa c’era dentro il famoso abbraccio con Roberto a fine Europeo. Nel cinema un termometro importante sono i tecnici: hanno un lavoro di grande responsabilità, spesso sono soverchiati dalla dimensione tecnica dei loro compiti ma quando li vedi con gli occhi lucidi, felici di essere lì in quell’attimo ti dici “uao ho davanti un uomo speciale”».
Anche nell’Europeo vinto c’è la magia di quella Samp. «Sì, vedendo il film diventa ancor più chiaro che l’Europeo è stato molto blucerchiato. Anche i non sampdoriani apprezzano. Persino De André, super-genoano, in un concerto augurò lo scudetto alla Samp. Abbiamo intervistato anche Federico Chiesa per chiedergli cosa significa per un giocatore della Nazionale di oggi avere questi maestri».
Chi vorrebbe come attore in un suo film? «Per un action Pagliuca, per uno comico Ivano Bonetti, per uno epico Luca e Roberto, i Maestri Jedi di Star Wars».
Momenti più esilaranti? «Li scoprirete, si ride tanto, soprattutto con Cerezo. Chi vedrà il film alla fine dirà: “Cavolo, voglio essere amico di Toninho”».