Palombo: “20 anni di Samp sono un piccolo vanto. Pagherei oro per per tornare al primo giorno e rivivere tutto”.
Angelo Palombo, 20 di Samp ad agosto interrotti solo dalla mini-parentesi «non voluta» all’Inter nel 2012, è il nuovo tecnico della Sampdoria Under 17. Un nuovo inizio stimolante, da primo allenatore. L’ex capitano, 40 anni, proverà a spiccare il volo in panchina. Quarto per numero di presenze con il Doria (459 e 15 gol), dietro Mancini, Mannini e Vierchowod: la storia blucerchiata di Angelo continua.
Cosa ha provato quando è stato ufficializzato il nuovo incarico «Non pensavo ma un po’ di emozione c’è. Fare il collaboratore non è poco ma essere in prima linea è diverso. Ringrazio la società e in particolare Invernizzi per questa possibilità. Vero, ho giocato tante partite con la Samp, ma non c’è nulla di scontato».
Come è avvenuto questo passaggio? «A gennaio la scelta di passare al settore giovanile sembrava strana ma già da un po’ si parlava di questa possibilità e così mi sono portato avanti nel conoscere i ragazzi e l’ambiente, ho fatto 4-5 mesi di scuola in attesa di questa eventuale chance. Da collaboratore mi stavo appiattendo, avevo pochi stimoli e non volevo stare lì a “passare l’aria”, come diceva Novellino. Vorrei diventare un allenatore importante».
Il primo valore che trasmetterà ai suoi ragazzi? «Per poter aspirare a fare il professionista, la cosa che non deve mancare mai, in ogni categoria, è la fame, insieme alla professionalità. Se sei più forte, ma non hai fame, non vai avanti».
Tra gli allenatori avuti chi la ispira di più? «Tanti. Mihajlovic, Giampaolo ma anche Delneri, Mazzarri, lo stesso Novellino. Fatico a sceglierne uno, mi piaceva il loro modo di allenare e interagire con i giocatori. Ma già da ragazzo, al Ferentino, ho avuto bravi maestri».
E tra i tecnici attuali chi le piace? «I top sono Guardiola e Klopp ma ammiro tanti giovani italiani da cui prendere tanto. Penso a Italiano, con cui ho fatto il master a Coverciano: non era facile passare dallo Spezia alla Fiorentina e fare così bene. Anche Motta mi piace tantissimo».
Il suo ideale è una squadra che giochi un bel calcio mettendoci la grinta di Palombo? «Beh, sarebbe il massimo avere il palleggio del City e la cazzima di Gattuso (ride). La realtà è che devi adattarti ed essere bravo a sfruttare le caratteristiche dei tuoi giocatori, a capire cosa è meglio per loro».
Venti anni di Sampdoria: che effetto fa? «Da un punto di vista brutto, tra virgolette, perché vorrei essere ancora in mezzo al campo ed è una voglia che mi porterò dietro tutta la vita. Però devi essere bravo a staccare, senza sentirti ancora giocatore. Vorrei tornare al primo giorno, non per cambiare, gli errori si fanno, sono parte della vita, ma per poter riprovare ancora le emozioni vissute, tutte, positive e negative. Pagherei oro. Dall’altro lato c’è l’orgoglio. Ci sono stati quei 4 mesi all’Inter, ma non voluti da me, e lo ripeto perché non avrei problemi ad ammetterlo se fosse vero il contrario. Potevo andare via 100 volte ma sono sempre rimasto aggrappato alla Sampdoria perché mi sono innamorato della maglia e della città e non sarei mai voluto andare via. È difficile trovare chi sta tanti anni nello stesso club e al giorno d’oggi è ancora più dura: è un piccolo vanto per me».

Di sicuro potrà spiegare ai ragazzi cosa è la Sampdoria. «Si rappresenta una maglia e va rispettata. L’appartenenza fa la differenza ma puoi crearla a prescindere dalla fede calcistica del giocatore, vale per un ragazzo come per chi è già in Serie A. Con i giovani l’importante è esprimersi con concetti brevi e chiari, trovare la chiave giusta per farli migliorare».
In Italia c’è crisi di talenti? «Si dice sempre che il livello in Italia e in Serie A si è abbassato, ed è vero. Credo per due motivi. Il primo è che ci sono delle ere: i Baggio, Totti, Del Piero e lo stesso Cassano non nascono sempre. Il secondo è economico: prima giravano più soldi, ora una squadra di A non può prendere l’Ibrahimovic di 22-23 anni. Bisogna creare una nuova era ma ci sono italiani forti anche ora».
Un ex compagno che le sarebbe piaciuto allenare? «Cassano. Mi piacerebbe allenare uno come lui, con il suo talento e la sua forte personalità, confrontarmi con un tipo di giocatore così, spero mi accada».
Una battuta sulla prima squadra: si potrà soffrire meno l’anno prossimo? «Nell’ultimo anno ho sofferto molto, soprattutto da quando sono passato al settore giovanile perché da fuori non potevo più dare una mano. Giampaolo è un lavoratore, ha bisogno di poter lavorare su principi non facilmente assimilabili dall’oggi al domani: partendo dal ritiro il mister farà sicuramente ancora meglio e farà vedere il suo calcio».
Intervista de Il Secolo XIX